tag:blogger.com,1999:blog-44048570796968917682024-03-13T01:31:50.485+01:00Soffio MagicoLa mia cassapanca, talvolta in ordine, talvolta noUnknownnoreply@blogger.comBlogger75125tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-57617214230863774212015-12-11T23:23:00.001+01:002015-12-11T23:23:04.612+01:00Mattoni di pagliaBarriere si ergono al facile comando di deboli voleri,<br />
come inutili rifugi ristagnanti nel tempo,<br />
che scorre lo stesso,<br />
da un'altra parte,<br />
per altri guerrieri, più fieri, più mobili,<br />
dallo sguardo alto e lontano,<br />
sdegnosi degli ostacoli<br />
come dei rifugi insensati.<br />
Il tempo, si sa, mangerà anche quelle barriere.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-75345232947803396702015-12-11T23:20:00.001+01:002015-12-11T23:20:04.770+01:00SonettoVorticava e turbinava come foglie impazzite sferzate nella bufera;<br />
saettava sfuggente sfidando il ghiaccio e i lampi d'inganno che bruciavano la fantasia;<br />
libero si librava, oltre le scure nubi del progresso, oltre lo scintillio dell'oro fatuo.<br />
Era un piccolo pensiero, di leggera musica.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-653648110745794532015-12-11T23:17:00.002+01:002015-12-11T23:17:35.710+01:00GiganteUna goccia di seta rigava il granito del volto impassibile del custode dei pensieri,<br />
di potente fantasia,<br />
e solcava i lineamenti.<br />
Fino a toccare la nube che sfumava nel placido scintillio<br />
di un'infinita alba di struggenti scoperte.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-55258798534216450662015-12-11T23:15:00.001+01:002015-12-11T23:15:34.443+01:00Occhio!Una piccola scintilla si affannava tra i massi gelidi,<br />
labile, flebile e impassibile,<br />
ma cresceva sempre più;<br />
e poi venne giù una cascata immane di fango e fuoco<br />
che plasmò di nuova fantasia<br />
una piatta pianura di ipocrisia.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-83737259507591240042015-12-11T23:12:00.003+01:002015-12-11T23:12:46.276+01:00ChiaroreMostrava loro il lato migliore di quel tiepido torpore in un tempo segreto.<br />
Ecco perché l'alba sempre tardava, come per nascondere la realtà che truce e cruda non aveva bisogno di maschera alcuna.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-21541215718266084212015-12-11T23:10:00.000+01:002015-12-11T23:10:31.848+01:00PetaliTocco i petali della rosa e la sollevo, si sveglia, alita, si stira e freme; mi sorveglia girarle attorno, ma io sono fermo, i piedi ben saldi sul piedistallo di granito. Avanti e indietro, dondolo incostante, come un ramo spinoso, inspirando profumi indefiniti. Poi, dritto e immobile, apro gli occhi. Attorno, una foresta di rose immense, infinite, dai colori alieni, fremono, scrollandosi frotte di spine che precipitano ammucchiandosi ai piedi del mio piedistallo. Mi sommergono. Mi arrampico, abbandono il granito, leggero, salgo fin'oltre il monte di punte. Oltre, l'orizzonte, vibra di dolce, umida aria dal mare di petali.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-14334688836845162872014-09-05T13:41:00.002+02:002015-12-11T23:34:03.018+01:00VoceUn respiro, un suono tenue che pervade leggero l'oscurità, si diffonde come una lama trasparente, e arriva lontano, sciogliendosi appena, sentendosi appena, macchiando indelebile le anime che incontra, solcandole e sferzandole con fantasia, acume, semplice magia della terra e del cielo. Talvolta dolce, mielosa, soffusa. Talvolta stridula, tesa, viscida e strozzante, una fune stretta al cuore più profondo della realtà e della consapevolezza, che frusta il mondo con sete infinita.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-88161218552307846072014-08-10T18:08:00.003+02:002015-12-11T23:34:03.049+01:00EquilibristaI secondi tintinnano, i rumori vagano, le pareti sono silenziose e il tempo può contenere un infinito pulsare di pensieri, idee, che vanno e vengono, risposte fulminanti che cambiano, domande che ristagnano, desideri che nascono dalle immagini, rapidi sogni che urlano dal subconscio. E tutto questo non mi basta, per riuscire ad impazzire.Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-80191295678538438272014-07-19T18:45:00.001+02:002014-07-19T18:45:18.194+02:00Vagava leggeraVagava leggera e quasi senza meta, accarezzando la terra; profumi colmavano il vento che veniva e andava, portando messaggi lontani, che si appoggiavano come polvere del tempo sulle sue spalle. Superò due grandi querce che si stagliavano paciose come guardiani del mare e dopo, la polvere del vento si mischiò al fresco alito del mare. La collina, imperlata da spuntoni di liscia roccia raschiata e cullata, spezzata e modellata, declinava ora leggera verso la mormorante distesa d’acqua. E lei, camminava sempre più leggera. Teneva gli occhi appena socchiusi e ben presto, sentì sotto i piedi una soffice sabbia tiepida, che cedeva arrendevole. Di fronte, poco lontano, oltre appena una striscia di gorgogliante mare, scaturivano, come sorrette da piloni maestosi, frastagliate ed imponenti isole primordiali, modellate su grezza roccia che narrava di infiniti aliti e bufere, che celava voci e suoni poderosi ma raccolti, che accoglieva pallidi bagliori di esistenza, che urlava dritta nel suo petto, un richiamo irresistibile e lei, leggera e sinuosa, si fermò sul ciglio di quella premurosa spiaggia, ed aprì bene lo sguardo dritto e deciso, ricettivo, verso quelle meraviglie sul mare.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-37510505355933426362014-07-06T16:46:00.004+02:002014-07-08T14:37:15.150+02:00Sole d'inverno“Statale 191. Codice525”, gracchiò l'autofono. Sul display al centro del cruscotto iniziò a lampeggiare a grandi caratteri rossi il numero 525; pochi istanti e satvo guidando veloce fra le colonne della sopraelevata. Osservai il RadCom per verificare la posizione delle pattuglie nelle vicinanze; sarei arrivato per primo. Inclinai di pochi gradi la cloche ed entrai nel veloce traffico della 191 facendomi largo con l'aiuto dello stridulo suono della sirena. In breve scorsi una piccola Mazda Demon rovesciata.Al lato del portellone un uomo tremante reggeva saldamente qualcosa, proteggendolo dalle insistenti attenzioni di due uomini con lunghi cappotti neri; ognuno teneva in mano uno strano bastone terminante con un'affilata punta. L'uomo accanto alla Mazda cercava di ritrarsi terrorizzato, mentre un rivolo di sangue colava dalla sua guancia. Per un attimo si volse verso i due aggressori che non sembravano essersi accorti del mio arrivo.<br />
<br />
<a name='more'></a>Poi, guando iniziai ad azionare i freni aereodinamici, si voltarono e fissarono i loro sguardi su di me: una strana opprimente sensazione mi pervase, ma, senza farmi sorprendere, aprii un canale audio esterno e dissi con tono autoritario:<br />
"Voi due, allontanatevi dalla macchina e gettate le vostre armi verso il mio veicolo!".<br />
Passò un attimo senza che i due uomini facessero gualcosa; sentivo solo il roco ansare dell'uomo sconvolto. Poi decisi di uscire dal veicolo, dopo aver preso la pistola.<br />
"Va bene! Ora mi consegnate le vostre armi altrimenti sarò costretto a neutralizzarvi", ordinai.<br />
I loro bastoni sembravano innogui, ma il mio istinto suggeriva di stare all'erta. Ormai ero a pochi metri e, nell'avvicinarmi, mi sentii stranamente in pericolo, nonostante fossi in evidente vantaggio; i due uomini non parlavano ne si muovevano e, in ogni caso, non ero tanto sicuro di voler sentire la loro voce. Poi emisero degli strani suoni gutturali che fecero letteralmente gelare il sangue nelle mie vene. Nonostante la disciplina acquisita nell'addestramento nei T.A.G., gettai via la mia arma e corsi via mentre nelle mie orecchie rintronavano ancora quei strani versi. Non osavo voltarmi, ma sentii infine gli ultimi rantoli gorgoglianti dell'uomo straziato dai due misteriosi personaggi.<br />
Non capii bene cosa successe dopo, ma sentii le sirene dei miei compagni arrivare e vidi che i due uomini dai lunghi cappotti neri erano spariti riportando un pò di serenità' nel mio animo. Rialzai lo sguardo tremante mentre le pattuglie si arrestavano intorno a me ; mi volsi verso la macchina capovolta osservando i resti stanziati dell'uomo e vidi un vecchio e consumato libro a pochi metri dal corpo: lo raccolsi e lo osservai con strana ammirazione. Poi sentii una voce lontana: "Tutto ok Abel?"; mi scossi e, finalmente tornai alla realtà.<br />
"Credo di si", risposi.<br />
"Cose guella roba?", chiese Gart, un mio vecchio compagnio dei T.A.G.<br />
"Credo che sia un antico libro".<br />
"Ma non dovrebbe trovarsi in un museo, insieme a tutti gli altri?"<br />
"Forse e stato rubato. Comunque penso che qualcuno lo cercherà ben presto. Osservai la rigida copertina che recava in bassorilievo il titolo:<br />
"KRAAG", con delle incisioni che attorniavano la scritta. Per il momento decisi di non esaminarlo:tirai fuori un contenitore,vi misi il libro e digitai:"OGGETTO ?-1 .Codice : 525.Stat.:191.Ora:18.21.Data:5/8/2472"!<br />
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Lo stretto viale che conduceva alla scuola era quasi deserto. Il professor Kyzak si affrettava verso la sua auto, impaziente di tornare a casa; per fortuna il suo lavoro di insegnante gli lasciava abbastanza tempo libero da dedicare al suo "hobby". Aveva una casa da tenere in ordine, qualche lezione privata, ma, sopratutto il club. Quella sera doveva presenziare la consueta riunione settimanale e due suoi collaboratori erano appena tornati dalla WestCost con delle notizie interessanti. Quel pomeriggio preparò un breve discorso sulle attività settimanali ed attese impaziente; quando ormai la sera era giunta, uscì, avviandosi nella gelida brezza di Boston.<br />
Camminò spedito per alcuni minuti, poi giunse davanti ad una breve scalinata che portava ad un grosso portone con una targa appesa su cui era inciso:<br />
"Club amanti della Storia Antica".<br />
Kyzak si avvicinò al portone ed inserì la sua keycard. Si aprì uno spiraglio ed il professore entrò trepidante. Nel salone lo attendevano alcuni soci che consultavano la nutrita biblioteca visiva accanto al camino. Il professore salutò alcuni amici poi si diresse verso la saletta delle conferenze dove lo attendeva Tobias, il suo braccio destro. La sala era deserta. Lungo le pareti di legno c'erano candelabri con delle autentiche candele di cera che illuminavao flebilmente le poltrone imbottite; sui pannelli dei mogano delle pareti erano incisi antichi aforismi e delle scene di vita antica, sopratutto di congreghe di illustri studiosi e letterati che conferivano in antiche sale romane, greche, arabe antiche e settecentesche.<br />
"Salve Tobias", esordì Kyzak rivolto al giovane;<br />
"Buonasera, professore. E' tutto pronto per il consueto discorso. Quando avrà terminato, potremo ascoltare gli adepti del club di Los Angeles. Dovrebbero arrivare a momenti", concluse Tobias, dando un'occhiata all'orologio meccanico di fabbricazione svizzera.<br />
"Bene. Non mi dilungherò molto. Immagino che tutti siano impazienti di ascoltare le novità"; detto ciò, Kyzak si avvicinò al visore per ricontrollare il suo discorso.<br />
Ancora pochi minuti e tutti si avviarono verso la sala, prendendo posto sulle comode poltrone. Kyzak sali sul palco di legno e pronunciò il suo discorso con il solito tono colloguiale di chi fa dell'oratoria un'arte.<br />
Suggerì più volte di organizzare una spedizione in un territorio situato fra gli affluenti del Rio delle Amazzoni, dove era sicuro che si celassero importanti cimeli di alcune antiche tribù barbariche scomparse da secoli.<br />
"Ed ora, infine, permettetemi di dare la parola a due nostri soci della costa occidentale: Philius Tzhadik e Gart Baccus", concluse infine, invitando due uomini che sedevano in prima fila.<br />
Uno dei due, sfogliando nervosamente alcuni appunti, disse:<br />
"Ebbene, amici, portiamo una grande notizia. Un oggetto che reputavamo scomparso per sempre, si trova ora a Los Angeles!". Un brusio si alzò dagli astanti, incuriositi.<br />
"Gart, vuoi mostrare l'immagine?". Philius si rivolse al suo compagno che prese ad armeggiare con il visore a parete. Quando apparì l'immagine del misterioso oggetto calò un esterrefatto silenzio sulla platea. Poi Kyzak sussurrò:<br />
"II libro perduto di Kraag!"<br />
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"Non se ne parla nemmeno, capo!", sbraitò.<br />
"Senti Abel", disse il capitano Koslowski,"devi imparare a non rispondere così ai tuoi superiori se vuoi tenere questo lavoro".<br />
Abel fece qualche passo verso la finestra ed osservò il grigio panorama dei grattaceli. Il sibilo di un Avio lo distolse dalla contemplazione. Si voltò. "Lei non capisce. Non ha visto di cosa sono capaci. Quel libro dovrebbe essere gettato sul fondo di un abisso. Ed io non lo toccherò nemmeno con i guanti".<br />
Calò un pesante silenzio nell'ufficio.<br />
"Mi spiace Abel. Gli ordini sono questi. Devi portare il libro a Chicago.Buon viaggio", sussurrò il capitano;"In bocca al lupo!", terminò. "Molte grazie, capitano. Spero di tornare vivo!".<br />
Uscì dalla stanza. Non gli piaceva per niente quella storia. Andò nel magazzino e prese il libro, che era stato sistemato in una valigetta scura con una chiusura magnetica. Poi si fece dare un Avio leggero e partì subito, con l'idea di tornare il più in fretta possibile.<br />
Lasciò la coltre grigiastra di Los Angeles, sorvolando a 50 metri da terreno le lande disabitate dell'interno. Gli antichi ruderi dei centri abitati si consumavano battuti dal vento sibilante; ben presto i radi arbusti dei dintorni di Los Angeles lasciarono il posto agli alberi sempre più fitti della foresta selvaggia.<br />
<br />
Abel decise di aumentare un pò. la quota per evitare di disturbare le strane creature che si nascondevano nelle fitte tenebre della foresta. Arrivò a Chicago in tempo per ammirare il rosso tramonto dietro le colline; pochi minuti dopo saliva le scale del Centro di Ricerca Storica. La segretaria disse che il professor Kyzak lo attendeva, così andò verso il suo studio. Attraversò un lungo corridoio le cui pareti ospitavano ricostruzioni olografiche di antiche città perdute. Finalmente arrivò davanti alla porta dello studio. Entrò accolto dallo studioso che squadrò attentamente. "Salve, professore", disse, "Ho portato qualcosa per lei". "Salve, agente. Ha fatto molto presto. Se permette vorrei subito dare un'occhiata al libro", esordì Kyzak.<br />
Abel gli porse la valigetta aprendola e mostrò il volume consumato dai secoli; il professore lo prese in mano e lo accarezzò con delicatezza e poi sussurrò:<br />
"Finalmente", aggiungendo poi a voce alta,"Perfetto, agente; se permette, ora ho bisogno di alcuni giorni per esaminarlo e dare un completo resoconto". "Bene", rispose Abel,"Allora io posso andare; e si ricordi che il libro è un a prova indiziaria. In ogni caso due agenti saranno sempre alla sua porta".<br />
Stava per andarsene quando suonò l'interfono e Kyzak, dopo aver ascoltato il messaggio, gli fece cenno di attendere. ''C'è qualcuno che vuole parlarle", disse il professore.<br />
Improvvisamente Abel percepì una strana ed opprimente sensazione di pericolo, come quando aveva visto per la prima volta quegli strani esseri. "E' uno di loro!", urlò.<br />
<br />
Il professore lo guardò sbalordito e rimase paralizzato dallo sguardo di terrore negli occhi di Abel che si stava gurdando attorno cercando una qualche via d'uscita secondaria; trovò una piccola porta e vi si gettò, trascinandosi dietro il professore attonito. Non appena si chiusero la porta alle spalle sentirono qualcuno entrare nell'ufficio e, poi, con orrore, sentirono che cominciò come ad annusare l'aria, cercando il loro odore; piano piano si avvicinò alla loro porta e, poi, ad un certo punto, la aprì, dopodiché Abel prese a correre a perdifiato seguito dappresso dal professore; dietro di loro sentirono l'urlo del loro inseguitore; l'urlo di un cacciatore. Salirono una breve rampa di sacle e si ritrovarono sul tetto dove li aspettava l'Avio. Vi si gettarono dentro ed azionarono i motori, ma, nonostante il rumore, sentivano ancora quello strano verso che sembrava provenire dall'abisso di un incubo. Poi, come iniziarono a prendere quota, il verso lentamente svanì, tramutandosi in una infernale risata di scherno!<br />
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L'Avio sfrecciava veloce nell'aria. I due uomini a bordo non parlavano. Piano piano ripresero a ragionare con razionalità, cercando invano di cancellare il ricordo di quel verso. Abel rallentò il volo quando erano sopra alla foresta.<br />
“Ora che facciamo?”, chiese Abel, dopo aver ormai perso il suo proverbiale sangue freddo.<br />
"Non ne ho idea", disse Kyzak, ancor più sconvolto.<br />
"Credo, comunque, che il libro appartenga a loro", aggiunse dopo qualche attimo.<br />
"Allora sarà sufficente restituirglielo!", affermò Abel.<br />
Il professore ci pensò su, poi disse:<br />
"Non penso sia così semplice. Credo che dovremmo analizzare il libro per trovare qualche soluzione".<br />
Improvvisamente il radar dell'Avio segnalò un grosso oggetto in avvicinamento. Non si trattava di un'Avio, ma, disse Abel, di qualche grosso volatile della foresta; Abel sembrava molto preoccupato. L'enorme bestia si avvicinò molto velocemente a loro e, d'un trtto, li urtò violentemente; Abel cercò di tenere sotto controllo il mezzo ma ben presto si ritrovarono a sfiorere la volta della foresta; con tutta la sua maestria cercò di dirigere l'Avio in qualche spiazzo, ma non vide altro che alberi dappertutto; scendevano rapidamente, ma, infine Abel riuscì a rallentare per potersi fermare con uno schianto, poggiandosi sui grossi rami di un gigantesco albero. E così si ritrovarono in uno dei posti più selvaggi della terra, dopve da secoli nessun uomo vi si recava più, probabilmente senza avere la possibilità di ripartire con l'Avio.<br />
Per un pò Abel cercò di testare i sistemi dell'Avio, ma ben presto si rese conto che era inutile sperare di ripartire da li, così decisero di prendere tutto quello che potevano e di cercare una via d'uscita tra gli alberi; Abel prima di abbandonare l'Avio, verificò che funzionassero i sistemi radio, ma tutto fu inutile.<br />
In qualche modo riuscirono a raggiungere il terreno, per poi incamminarsi lentemente intralciati dal fitto sottobosco; il professore non era mai stato personalmente in un bosco, ma aveva provato delle simulazioni olografiche per cercare di ricreare l'antica atmosfera che respiravano gli studiosi e gli intellettuali dell'antica Roma e delle altre civiltà scomparse camminando lungo i giardini, ma qui provava una nuova sensazione, anche perché molte piante e gli strani versi dei piccoli animali erano notevolmente mutati da allora e le sensazioni reli non erano ancora state simulate alla perfezione.<br />
Anche Abel, nonostante avesse camminato spesso nei parchi di Los Angeles, provava forti sensazioni di allenita e capiva di essere in qualche modo un estraneo in quel luogo incontaminato; nonostante fosse pieno inverno e nelle città tutti si premuravano di tenere attivi i riscaldamenti, li nella foresta c'era un a sorta di microcosmo che mitigava la temperatura dell'aria, che rimaneva comunque molto umida. Per il momento non pensarono di correre pericoli, non temendo le piccole creature e credendo, forse a torto, che non vi fossero grossi predatori.<br />
Cercavano di camminare il più speditamente possibile, ma si rendevano conto che percorrere tutta la foresta sarebbe stata un'impresa al limite delle loro possibilità, senza contare la fascia desertica che separava la foresta dalla città; inoltre avevano ben presente ancora il loro cacciatore infernale e sapevano, pur nella muta consapevolezza, che li avrebbe potuti raggiungere in qualsiasi posto si fossero nascosti.<br />
Ad un certo punto, in una pausa del loro cammino, Kyzak decise di dare un'occhiata al libro, aprendolo con reverente attenzione, come se nascondesse dei segreti sconvolgenti; ben presto fu preso dallo studio quasi dementicandosi dov'era. Abel cercò di attirare la sua attenzione quando venne il momento di riprendere il cammino, ma il professore era preso da una strana smania di lettura e gli disse di attendere ancora perché forse aveva trovato qualcosa di interessante:<br />
“C'è qualcosa in questo libro, che potrebbe essere di vitale importanza",disse;<br />
"Devi sapere che fu redatto migliala di anni fa e questa non e che l'ultima delle copie stampate tratta direttamente dall'originale.”<br />
Le parole di Kyzak si perdevano tenuamente nell'umida atmosfera della foresta;<br />
Abel ascoltava con attenzione, ma allo stesso tempo osservava il limitare del bosco, sussultando ad ogni rumore sospetto, cioè ad ogni istante.<br />
Dalle parole del professore, il poliziotto capì che aveva dedicato tutta la vita rivolto al passato, alla ricerca delle radici dell'umanità, che si stavano dissolvendo nella società delle mega città e della continua ricerca del progresso. Il professore aveva ritrovato un frammento dell'antica saggezza nei libri fatti di cellulosa e sapeva che l'umanità era alla fine di un lento ed inesorabile declino iniziato secoli prima; tutto ciò che l'uomo aveva creato con l'ingegno e la fantasia era ormai perso o era solo un tenue bagliore dell'antica luce.<br />
La sua voce si bloccò d'improvviso.<br />
"Schh!!", sussurrò Abel, "Ho sentito qualcosa!", concluse sottovoce.<br />
Aveva percepito un tenue scricchiolio proveniente da un cespuglio. Vi si avvicinò lentamente. Tutt'intorno era cessato ogni rumore e sentiva solo uno strano sbuffare che proveniva dal contorto cespuglio. Si volse un istante verso il professore che aveva alzato lo sguardo dal libro e lo fissava con un'espressione interrogativa. Gli fece segno di aspettare e di non muoversi.<br />
Indossò le lenti ad intensificazione e fissò il cespuglio. Vide qualcosa.<br />
Una strana figura oblunga che si contorceva. Sembrava avere delle zampe e due grandi occhi luminosi. Ed una bocca. Una bocca da cui spuntavano aguzzi denti. Abel si avvicinò cautamente, cercando di non fare alcun rumore. Era a meno di un metro dalla creatura. Si contorceva, come se stesse sopportando un forte dolore. Abel si avvicinò ancora un pò e, d'improvviso capì: la creatura era una femmina e stava partorendo? Troppo tardi si accorse di essersi avvicinato troppo, e la bestia della foresta se ne accorse, con uno scatto velocissimo balzò fuori dal cespuglio e si avventò su Abel che cercò di ritrarsi. Lo azzannò ad un braccio per poi scattare via nel fitto del sottobosco. Abel urlò ma subito si rese conto che l'animale era quasi innocuo, allora si massaggiò la piccola ferita e si voltò per rassicurare il professore. Rimase a bocca aperta: il dottor Kyzak stava letteralmente affondando nel terreno! Abel strabuzzò gli occhi, credendo di vedere male. Si tolse di scatto le lenti gettandole via e corse verso di lui per aiutarlo. Vide i suoi occhi con impresso uno sguardo di terrore e la bocca spalancata in un silenzioso urlo. Stava sprofondando in una specie di fossa nascosta ai piedi dell'albero dove si era appoggiato per leggere il libro; qualcosa lo stava trascinando giù, tenendolo per le gambe, e non riusciva a resistere. Abel scattò con prontezza ma, non riuscì a capire come, inciampò in una radice e cadde riverso al suolo;cercò di rialzarsi ma non vi riuscì, perché aveva la caviglia impigliata nella radice e questa si stava muovendo, uscendo sempre più dal terreno per ghermirlo!<br />
La testa del professore stava scomparendo nei terreno muschioso al di la di un passaggio angusto che lasciava intravvedere un viscido cunicolo che sembrava fosse stato scavato da un gigantesco verme; Abel cercava con tutte le forze di strappare la sua caviglia alla morsa della radice ma più cercava di divincolarsi, più sentiva il suo corpo che veniva ricoperto e stretto dalla morsa di una miriade di braccia verdi. Lo stavano completamente circondando ed ormai sentiva di soffocare; le forze lo stavano abbandonando e si contorceva sempre più lentamente, come un piccolo topo nelle grinfie di una serpe. Troppo verde. Umido, viscido, pieno di vermi. La pelle graffiata. Non respirava. Tutto stava dventando indistinto. Lontano il richiamo disperato del professore del passato. C'era una luce azzurra, un bagliore lontano che poteva toccare, era caldo come il ghiaccio; pungeva e lo circondava come una carezza.<br />
Si alzò ed osservò il panorama dalla collina. Tutto era tranquillo. Non una voce, non un rumore, finalmente. Alcuni pulcini cercavano di volare, aiutati dalla madre, sull'albero. Il cielo era caldo e luminoso e sotto un piccolo ruscello ribolliva. Lontano l'ombra andava scomparendo, sommersa dal nuovo ciclo.Camminò per sempre e vide tutto finalmente senza nessuno.<br />
Non lo sentiva! Quello stolto poliziotto non riusciva a sentire i suoi disperati richiami. O era lui che non riusciva a farsi sentire. Un forte dolore gli serrava le gambe. Stava Fasciando i fianchi in una specie di tunnel. Cercò di imprecare ma sentì la gola serrata da qualcosa tanto che quasi non riusciva a respirare.<br />
Lo stretto cunicolo era tetramente illuminato da una luce soffusa e tremolante che gettava ombre dappertutto. Era ormai ad alcuni metri dal livello del terreno quando"vide cosa lo stava tenendo: due robuste mani irte di peli che sembravano più quelle di una scimmia, ma comunque umane. Cercò di far avanzare lo sguardo, con gli occhi che gli lacrimavano per la stretta di quella che sembrava essere una corda e poi vide lo sguardo del suo cacciatore e subito dopo uno strano bastone che l'uomo brandiva e con cui lo colpì inesorabilmente.<br />
Non era uno dei suoi sentieri preferiti e lo percorreva di rado, solo quando doveva recarsi nei- tempio- d'argento, ^'ma ora lo stava seguendo perché uno dei segnali era stato attivato e, e voleva dare un'occhiata, seppure a malincuore.<br />
Controllò con attenzione dove metteva i piedi per evitare le Felci-serpe che qui erano più frequenti che nel suo territorio; guardò in alto sugli alberi e notò stranamente che vi erano pochi Terojar nei loro nidi, come se avessero avvertito qualcosa e fossero fuggiti in alto nel cielo. Gli Terojar erano fra i pochi animali della foresta che ne uscissero abitualmente. Lui personalmente ne aveva costeggiato i confini a Sud-Est ma non si era mai inoltrato oltre i pochi passu.nel deserto.<br />
Sentiva nell'atmosfera uno strano odore, molto tenue che non aveva niente a che fare con la foresta e capì che poteva provenire dall'alto; infatti, ad un certo punto riuscì a vedere qualcosa che brillava a circa una ventina di metri dal terreno. Sembrava come se una delle Bord del sottosuolo fosse stata ripulita ed appoggiata su un grosso ramo. Poi, non lontano scorse un grosso cespuglio di felci-serpi ed in mezzo qualcosa; sembrava un corpo. Si avvicinò e vide un uomo con indosso strani abiti. Sapeva che era un uomo, come lui, più o meno, ma, a parte i Fanahivori, erano molti enni che non ne vedeva uno e certamente non ne aveva mai visto uno così.<br />
Vide chiaramente che era sotto la stratta della pianta e si avvicinò con cautela, immaginando che nei dintorni ci fosse anche un cunicolo dei Fanghivori. Sembrava tutto abbastanza tranquillo così potè cedere che l'uomo era privo di sensi, forse anche morto. Prese la sua grossa falce e cominciò a recidere le grosse foglie dalla radice; la piante fremette, come se volesse dimostrare il suo disappunto. Alla fine riuscì a liberarlo abbastanza da trascinarlo via. Era ancora vivo. Se lo caricò in spalla e, lentamente, si allontanò verso casa facendosi largo fra i cespugli intricati e gli odorosi massi coperti di muschio.<br />
...continuaUnknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-65719856464518066492014-07-06T16:44:00.002+02:002014-07-08T14:37:28.450+02:00Il maialeLa fredda serata stava volgendo al termine, ammantando i verdi prati di un'umida patina luminosa. Gli stomachi borbottavano rumorosamente. Isegrim osservò triste la loro unica preda della giornata: un piccolo e rinsecchito coniglio bianco. Forse cone quel po di erbe che avevano trovato nei pressi del laghetto, almeno poteva diventare saporito. Così si rassegnarono al magro pasto e iniziarono a raccattare un po di legna per accendere il fuoco. Il buio stava scendendo veloce. Anche con le migliori intenzioni non avrebbero scorto più un bufalo neanche a pochi passi.<br />
<br />
<a name='more'></a>D'un tratto Palanthas, raccogliendo qualche rametto di Faggio rinsecchito, senti un forte scricchiolio nel sottobosco. Aguzzò la vista e gli parve di scorgere qualcosa.<br />
“Isegrim!”, sussurrò al piccolo compagno.<br />
“Vieni, mi sembra di aver visto qualcosa”.<br />
Lo Hobbit si avvicinò silenzioso al Dunedain, e aguzzò anchegli la vista.<br />
“Si! L'ho visto. Sembra grosso. E' troppo buio. Ma sono quasi sicuro che sia un maiale selvatco!”<br />
“Presto! Prendiamolo! Tu vai verso qual lato.”, disse Palanthas.<br />
“Oggi stufato misto di Maiale e Coniglio!”, gongolò Isegrim.<br />
Isegrim, senza fare alcun rumore, si inoltrò nel bosco dove questo si infittiva maggiormente, cercando di avvicinarsi alla preda di fianco. Palanthas invece si mosse nel bosco dritto verso dove avevano scorto l'animale. Un po più rumoroso dell'hobbit ma sempre silenzioso. Con versi quasi inconfondibili si facevano segni reciproci per segnalare la posizione.<br />
Il buio si infittiva sempre più, gettando scure ombre fra i grossi tronchi del bosco. Isegrim rabbrividiva, stringendosi addosso i vesiti imbottiti. Sentiva i segnali dell'amico ma ancora non scorgeva segni della loro preda. Quando, quasi senza accorgersene, arrivò ad un piccolo spiazzo ricoperto da un fitto tappeto di felci. Nel fitto buio scorgeva a malapena la figura nera davanti a se a pochi passi. Rimase immobile per un attimo, poi, senza alcun rumore, tirò fuori la spada, emise un impercettibile verso simile a quello del Passero Nero, e poi con un urlo si gettò verso la figura.<br />
Quasi allo stesso tempo un'altro urlo proveniente dall'altro lato spazzo la tranquillità del bosco, e l'alto Dunedain apparve anche lui diretto a tutta velocità verso la grossa preda, prandendo una lunga lama puntata come una lancia.<br />
La grossa figura rimase immobile come una statua, poi, quando i due cacciatori le erano quasi addosso, si volse verso di loro lentamente e ringhiò! I due valorosi avventurieri si bloccarono all'istante con uno sguardo misto di meraviglia e terrore.<br />
La grossa figura davanti a loro era si di dimensioni pari a quelle di un grosso maiale. Il corpo ricoperto da grossi peli irsuti fremeva e i grossi muscoli si gonfiavano. La grossa e fiera testa dagli occhi fiammeggianti fissava i due avventurieri dritto negli occhi. Le fauci bavose si socchiusero minacciose mostrando una schiera di enormi e appuntiti denti sicurvi, scalfiti da mille battaglie contro le sue prede.<br />
Il grosso Warg sembrava quasi sorridere. Piegò le possenti zampe e con uno scatto poderoso di gettò verso il Dunedain. Questi, colto dal terrore, gettò via la spada e scattò verso fra gli alberi, spinto dalla paura della morte imminente. Dimostrando un sangue freddo invidiabile, Isegrim corse dietro al grosso lupo demoniaco che inseguiva con lunghi balzi Palanthas, schivando i tronchi degli alberi. Cercò in tutti i modi di attirarne l'attenzione, sbuffando paurosamente mentre mulinava le corte gambe a più non posso.<br />
Ad un tratto si ritrovarono nei pressi del loro bivacco improvvisato. Il lupo era sempre più vicino a Palanthas che stava iniziando a divenire piuttosto stanco. Isegrim colto più dalla disperazione, prese al volo il coniglio rinsecchito e con un lancio memorabile, lo fece ricadere giusto adavanti alle zampe dell'Warg. Questo, piuttosto sorpreso, non riuscì ad evitarlo e vi inciampò, facendo un ruzzolone e un paio di capriole. Sbuffò arrabbiatissimo. Si rialzò lesto e voltò lo sguardo pungente sull'Hobbit, poi sul Dunedain. Poi l'odore del sangue del coniglio lo attirò maggiormente. Lo addentò famelico.<br />
Palanthas e Isegrim ne approffittarono subito e corsero verso gli alberi più grossi e alti che riuscirono a trovare. Vi si arrampicarono fulminei e si accovacciarono il più in alto possibile. Dopo non molto il terribile scrocchiare delle fauci del lupo terminò e sentirono i passi pesanti e lo sbuffare che si avvicinarono agli alberi dove si erano arrampicati.<br />
L'Warg si avvicinò prima all'albero di Isegrim, annusando e raspandone la base come se volesse sradicarlo. Poi con passo tranquillo si avvicinò a quello di Palanthas e si accovacciò fra le radici, posando il grosso corpo fra alcune felci. Non molto dopo il suo pesante respiro divenne regolare.<br />
“Sta dormendo, Isegrim! Scendi e dagli il colpo di grazia!”, sussurrò appena Palanthas.<br />
Dall'altro albero, nascosto fra i tronchi rispose lo Hobbit:<br />
“Se permetti, ho trovato un angolo fra due rami comodissimo! Rimarrò qua rannicchiato fino a che quella bestia non sarà lontana almeno un miglio!”.<br />
Lo stomaco del Dunedain borbottava ancora di più pensando alle piccole ma succose ossa del coniglio, i cui resti scorgeva appena poco lontano. Ma si rassegnò e cercò di sistemarsi il meglio possibile fra i rami.<br />
La notte si fece gelida ed umida, ma alla fine passò in un dormiveglia continuo, continuamente risvegliati dai versi del lupo che ogni tanto si alzava per fare qualche passo e dalla posizione non certo comoda. Ma, alla fine, il sole pallido spuntò fra i rami impregnati di brina spumosa, squarciando la bianca foschia come guizzanti lame luminose.<br />
Torcendosi le membra indolenzite, guardarono verso il basso ma non scorsero più il grosso corpo dell'Warg. Scesero con estrema attenzione, ma alla fine il lupo era sparito. Raccattarono le loro cose, intorpiditi e affamati più che mai e ripresero il cammino un po tristi.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-76424079077558263072014-07-06T16:31:00.002+02:002014-07-08T14:38:46.046+02:00Un tavolo consunto<span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline;">Solitario nella sera, finalmente rinfrescante, segnava sicuro e deciso con la vecchia penna intinta nella china sugli spessi fogli di pergamena. Ormai era un grosso tomo che era poggiato sul legno brunito dal tempo, dopo tutto quel tempo in cui stava rendendo conto della storia, delle tradizioni, degli avvenimenti, delle creature e dei popoli della sua terra. </span><br />
<a name='more'></a><span style="background-color: transparent; color: black; font-family: Arial; font-size: 15px; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; vertical-align: baseline;">Tanti lunghi anni di scrittura, paziente, di continua ricerca fra i saggi e gli anziani più lontani sui colli nelle zone selvagge. Ed ora si fermava spesso e quasi si meravigliava di quanto aveva scritto fin'ora, curvo sui fogli. Ma questo aveva avuto un inizio, tanto tempo fa, quasi in un sogno ormai, che ricordava ancora vivido, quando era giunto ad Iklos, appena un ragazzo, solo un piccolo mozzo di quella nave di Grinecaat sfortunata, spezzata quasi da un forte Bentemurta. La Stella della Spuma a malapena era riuscita ad arenarsi non lontano da Sabarra, triste, curva e morente. E quel ragazzino assieme agli altri uomini della barca, erano arrivati ad Iklos. Col tempo, quasi tutti erano poi ripartiti verso le loro terre lontane, verso le loro mogli, i loro sogni, le loro lotte, le loro gioie. Ma lui sentiva qualcosa li ad Iklos, sentiva l'ardore della sorpresa, la scintilla della conoscenza e così, prese a vagare per le vie della città, a scoprire il parlare tagliente dei Solussiani, il vociare profondo dei Doroi e poi, oltre le ultime case, molto in la fino ai colli rotti e scavati da tempo dimenticato, fino alle nebbie terribili, fra le tane innominabili, fino alle meraviglie dei Mourzhin e ancora oltre, sfidando pericoli di ogni tipo, lui prese a cercare, a scoprire, e a scrivere su grandi fogli di pergamena la storia di Iklos, su un tavolo consunto.</span>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-22450109746841458152014-07-06T16:28:00.001+02:002014-07-08T14:38:05.771+02:00Loro ci sonoUscimmo quando ormai il sole era tramontato da più di quattro ore; avvolti nei nostri leggeri cappotti, ci avviammo, illuminati dalla luce artificiale dei lampioni mentre un freddo e fastidioso vento faceva ondeggiare sinistramente gli alberi ed i bassi cespugli che si perdevano nell'oscurità. Ben presto lasciammo la strada asfaltata per inoltrarci nella bassa vegetazione che ricopriva le colline ondulate. Con un fugace sguardo osservammo la casa da cui eravamo usciti, di fronte alla quale un'alta mimosa fronteggiava la gelida breccia.<br />
<br />
<a name='more'></a>Ben presto la periferia dalla cittadina scomparve dietro una cresta rocciosa; avanzammo lenti, impacciati dai rovi e dal terreno impervio le cui insidie erano nascoste nella notte.<br />
Dopo un'estenuante marcia il mio compagno si fermò, indicando uno sperone roccioso tramite il quale individuammo la nostra meta; ci apprestammo a scendere lungo il dolce declivio che serpeggiava insinuandosi fra due pareti di roccia fino a giungere presso uno spiazzo erboso, cosparso di alte canne fra le quali si innalzava scuro e minaccioso un tarchiato nuraghe la cui posizione, quasi nascosta dalle colline, stonava con l'antico uso che ne facevano gli abitanti originali.<br />
“Prendi la torcia, Nico”, sussurrò Marcello.<br />
Aprii lo zaino e tirai fuori una delle due torce porgendola al mio amico trepidante, poi dissi, a bassa voce:<br />
“Aspetta di essere all'interno, poi io andrò avanti mentre tu mi illuminerai la zona”.<br />
Aspettai che Marcello avesse acceso la luce poi, cautamente, entrai osservando la piccola camera interna e scorsi la piccola nicchia; mi avvicinai e misi la mano nel piccolo pertugio cercando la levetta che spostai fino a percepire un tenue rumore metallico, poi vidi una fessura che si era aperta nel pavimento nei pressi dell'entrata.<br />
Scorgemmo le scale consunte che scendevano verso un basso corridoio scavato rozzamente e, stoltamente, tirai fuori anche l'altra torcia accendendola, spinto dal forte desiderio di scoprire. Poi ci inoltrammo nell'antico corridoio e, d'un tratto, sentimmo un forte schianto alle nostre spalle:<br />
“La botola!”, urlai. ”Non l'abbiamo bloccata”.<br />
Marcello si precipita all'entrata e cercò di sollevare la lastra di pietra, ma senza riuscirvi. Così riprendemmo il cammino, spinti dalla speranza di trovare un'altra uscita.<br />
Camminammo per diversi minuti senza che il corridoio si biforcasse, ma poi vidi una piccola stanza irregolare che si apriva su un lato del corridoio. Oltrepassammo la volta della stanza ritrovandoci in uno strano ambiente: il pavimento, in pietra scolpita con bizzarri simboli, era interrotto da una colonna larga non più di un metro, che si interrompeva verso l'alto a circa due metri, come una sorta di alto tavolo di pietra su cui poggiava un oggetto oblungo.<br />
Lo prendemmo e lo osservammo alla luce delle torce che già iniziavano a spegnersi: non era altro che una statuetta simmetrica raffigurante un poderoso capro dalle lunghe corna; riposi la statuetta nello zaino e, dopo aver controllato le pareti della stanza, riprendemmo il nostro cammino.<br />
Poco dopo la torcia di Marcello si spense. Subito dopo vedemmo che il corridoio terminava con una bassa porta in legno. Ci avvicinammo trepidanti e, quando sfiorai la maniglia, questa cadde con un fragore metallico che rimbombò cupo; in pochi istanti le tavole della porta cedettero sbriciolandosi. La torcia illuminò un'ampia camera dalle pareti irregolari.<br />
Entrammo ed esaminammo la stanza alla luce sempre più flebile della torcia. Prospicente ad una parete c'era un'altra piccola porta ed al centro della camera si stagliava una grossa tomba di pietra su cui era scolpito il volto del morto colpito da uno spesso strato di polvere. C'erano anche alcune iscrizioni in una lingua a noi sconosciuta. Cercammo di aprire il sepolcro ma, nemmeno in due, riuscimmo a smuoverlo.<br />
Poi ci dedicammo alla porta, che si sbriciolò come l'altra al primo tocco. Illuminai un'altro lungo corridoio che si perdeva nel buio ed intravvidi una strana ombra che si avvicinava lentamente. In breve scoprimmo la natura di ciò che si stava avvicinando: da una curva del corridoio sbucò un'enorme capro sbuffante più nero dell'ombra. Prese a correre verso di noi. Rimanemmo immobili per un istante, poi Marcello tirò fuori un lungo coltellaccio e attese mentre io spensi la torcia.<br />
Non sentimmo più niente.<br />
<br />
Un rumore alle nostre spalle ci fece sobbalzare, ma non scorgemmo nulla.<br />
Poi, in una fredda luminescenza, si stagliò davanti a noi una strana ed inquietante creature delle dimensioni di un gatto: aveva tre zampe su cui poggiava un tozzo corpo sferico da cui dipartiva un lungo tentacolo terminante con una strana protuberanza cilindrica cosparsa da una sostanza vischiosa.<br />
<a href="https://lh3.googleusercontent.com/4-XBdlAAfSLUOfEyqOL0x_dPL2TzGZqlaJwXO4WibnAL7zhTTzp7_FQVHDDz1o8bNTYBO2SG5z6G8KhkNrnWCKh_J04xm9r18ZmQ-x1cXNTYaQQVHwaNeeHyoqtP" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://lh3.googleusercontent.com/4-XBdlAAfSLUOfEyqOL0x_dPL2TzGZqlaJwXO4WibnAL7zhTTzp7_FQVHDDz1o8bNTYBO2SG5z6G8KhkNrnWCKh_J04xm9r18ZmQ-x1cXNTYaQQVHwaNeeHyoqtP" /></a><a href="https://lh3.googleusercontent.com/4-XBdlAAfSLUOfEyqOL0x_dPL2TzGZqlaJwXO4WibnAL7zhTTzp7_FQVHDDz1o8bNTYBO2SG5z6G8KhkNrnWCKh_J04xm9r18ZmQ-x1cXNTYaQQVHwaNeeHyoqtP" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"></a>Stava immobile, davanti a noi, quando Marcello, preso da un'improvvisa follia, si avventò su quell'essere, infilzandolo con il coltello.<br />
Il corpo dei quella bestia esplose insozzando di una scura sostanza Marcello, che si ritrasse inorridito. Poi ci fu silenzio.<br />
Restammo per qualche minuto immobili cercando il da farsi, poi tirai fuori alcuni fogli e presi a scrivere questo breve resoconto, nella speranza che qualcuno lo trovi. Cosa molto improbabile.<br />
Ho poggiato i fogli nel sepolcro del misteriso uomo. Ora ci inoltreremo nel corridoio che sembra scendere verso gli inferi e sembra tutto tranne che una via d'uscita.<br />
Non ha senso tronare indietro. La torcia si sta ormai spegnendo, come la nostra speranza di uscire vivi. E' ora di andare.<br />
FINEUnknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-82255722295507564732014-07-06T16:23:00.001+02:002014-07-08T14:38:16.511+02:00L'essere trasparenteL’aria era immobile. Nessun odore. Lontano sentivano solo il cupo rombo della metropoli ormai lontana. Solo i loro passi leggeri scricchiolavano nella stradina attorniata da fitti cespugli che si protendevano, gettando fitte ombre, verso di loro. Camminarono per un’altra ora e oramai il rumore lontano della città era scomparso. Solo il flebile soffio di un’umida brezza faceva frusciare i rami contorti degli ulivi. Le foglie fremevano.<br />
<br />
<a name='more'></a>Presto giunsero ad un bivio. Davanti a loro la strada proseguiva ancora, allargandosi. Sulla sinistra un’altra piccola stradina scendeva inoltrandosi dentro un fitto bosco buio da cui sembrava provenissero scricchiolii e rumori di natura indefinibile. I quattro ragazzi si guardarono perplessi.<br />
“Guarda un po cosa dice la carta”, sussurrò Nicola rivolto al più piccolo di loro. In realtà la sua voce rimbombò nella notte divenuta gelida, e quasi sembrò che venisse risucchiata verso il buio sentiero silvano. Un improvviso silenzio calò tetro fra loro. Anche i tenui ed inquietanti rumori provenienti dal bosco si erano interrotti sinistramente.<br />
Gianluca frugò nel suo zainetto in cerca di qualcosa. Tirò fuori un foglio sbiadito arrotolato dentro un piccolo tubo di legno. Lo svolse e lo illuminò appena con la piccola pila che teneva in mano. Seppure la carta sembrava antica e logora, ancora recava precisi segni che indicavano con inquietante precisione delle indicazioni sul percorso.<br />
“E’ questo il posto”, disse Riccardo.”Non possiamo sbagliarci.”<br />
Infatti nessuno aveva dubbi. Era quella la via che li avrebbe condotti dove volevano infine arrivare. Così presero, come si suol dire, il coraggio a quattro mani e si diressero verso il nero bosco. Marcello, una volta penetrati per alcuni metri, si arrischiò ad accendere la grossa torcia che portava appesa alla cintura. La forte luce illuminò il sentiero serpeggiante davanti a loro. Più avanti girava oltre la loro vista. La luce della torcia ebbe un effetto imprevisto. I tenui e quasi indefinibili rumori che permeavano il bosco aumentarono di intensità e, quasi con orrore, alcuni di questi rumori o versi divennero quasi identificabili.<br />
“Spegni!”, disse con voce roca Nicola.<br />
Dopo qualche istante il buio calò nuovamente fra loro e i rumori tornarono ad una flebile intensità, piacevolmente non distinguibili.<br />
Lo strano gruppetto riprese il cammino lento ma abbastanza deciso. Il sentiero in più punti era quasi ostruito dalle folte braccia degli alberi secolari che si chiudevano minacciosi sopra le loro teste. Quando un viscido ramo li toccava, si ritraevano inorriditi. Ma spesso quando credevano di averne schivato uno, sembrava quasi che questo si muovesse per ghermirli. La tensione aumentava ad ogni passo, tanto più che ormai l’oscurità era tale che presto sarebbero stati costretti ad accendere una luce.<br />
Il buio divenne quasi impenetrabile. Ormai non facevano altro che sbattere contro i rami e inciampare sulle viscide rocce ricoperte da umido e nauseante muschio nerastro. Erano ora costretti ad accendere almeno una piccola luce per guidare i loro passi, ma avevano terrore di farlo. D’un tratto, oltrepassata una delle ultime strette anse del sentiero, il buio si diradò sensibilmente. Riuscirono di nuovo a vedere più chiaramente il sinuoso serpeggiare davanti a loro. Ma la luminosità, che aumentava sempre più, era quasi più inquietante del buio. Aveva una strana tonalità giallastra, anormale e certo non lasciava presagire nulla di buono.<br />
Infatti ben presto un nodo di terrore li fece fermare. Il cupo tunnel che penetrava il bosco continuava attorniato da fitti rami contorti che si protendevano, sinistramente illuminati, fremendo e sfregandosi gli uni con gli altri, producevano un sordo rumore viscido e nauseante. Un lezzo putrido e dolciastro invadeva il poco spazio libero in una foschia opprimente. L'aria pesante era quasi irrespirabile e bruciava la gola secca dei quattro amici. Poco più avanti una figura di aspetto umano bloccava quasi interamente lo stretto passaggio fra gli alberi secolari e muschiosi, attorniato dalla luce giallastra e terribile. Lo sguardo di tutti e quattro era fisso e immobile sulla figura i cui tratto erano indistinguibili. Dondolava lenta facendo fremere la luce che emanava. Non riuscivano a distogliere lo sguardo da quelle vesti di seta trasparenti e fluttuanti che circondavano la figura luminosa. Lunghi capelli che si muovevano come serpi infernali circondavano il volto nascondendolo. Speravano fosse solo un incubo, ma tutto era così vero e palpabile e una sensazione strana e insinuante li attirava verso la figura. Il peso della paura lancinante aumentava piano piano mentre le loro mani si protendevano verso la luce. Lentamente. Inesorabilmente.<br />
Poi, quando ormai il terrore e la costernazione avevano quasi superato il limite di sopportazione, la testa delle figura dondolò e sembrò loro sorridere il volto nascosto. Poi quasi levitando sul terreno, l'essere si allontanò da loro, ma loro vi si avvicinavano costantemente. Così, per un'infinità, seguirono l'essere luminoso, incuranti dell'ombra umida e vomitevole del bosco e degli occhi cattivi e minacciosi che li squadravano dalle tane nascoste nel sottobosco intricato di rovi puntuti.<br />
Camminarono così come ebeti per diverso tempo fino a che la luce giallastra dell'essere non illuminò un piccolo spiazzo ricoperto da un umido strato di erba umida. Camminavano calpestando una miriade di esseri viscidi rintanati fra l'erba: enormi lumache che scoppiavano con un tremendo rumore; vermi nauseanti che si attorcigliavano nelle scarpe risalendo lungo le gambe; frotte di grossi scarafaggi che si gettavano saettando sui resti delle lumache e dei vermi. La figura luminosa si fermò proprio al centro dello spiazzo, sovrastando degli strani ruderi ricoperti dalla vegetazione fitta, una sorta di cubo di pietra alto circa due metri. Proprio dietro alla figura, sul lato della strana struttura, c'era una specie di portone in pietra sovrastato da incisioni grottesche e innaturali. Dopo un istante la figura scomparve letteralmente nel buio lasciando i quattro ragazzi nell'oscurità più nera ma, allo stesso tempo, quasi sollevati dalla sparizione della creatura. Per lunghi istanti i quattro rimasero quasi immobili respirando rumorosamente l'aria quasi piacevole in quella piccola radura poi Nicola disse:<br />
“Bene. Forse questo è il luogo che cercavamo. Entriamo.”, poi si avvicinò al portone di pietra e cercò di spingerlo verso l'interno, ripulendone la superficie con un gesto veloce della mano dal groviglio di vegetazione e creature viscide. Il portone rimase immobile. Nella superficie si intravvedevano delle incisioni incomprensibili, sinuose e raccappricianti. Le figure sul portone si intravvedevano a malapena con l'aiuto della poca luce della luna seminascosta dalle nubi.<br />
“Aspetta !”, disse Marcello e accese la torcia illuminando sinistramente il portone. Rimasero quasi abbagliati dall'improvvisa luce. Poi successe qualcosa di strano. Le figure sul portone sembrarono quasi muoversi in uno strano vorticare, si spostavano o era un miraggio dovuto alla paura e al terrore? Poi, accompaganto da sinistri scricchiolii , il portone si socchiuse lentamente.<br />
I quattro si fecereo avanti con lentezza. Oltre il portone una pesante cappa di oscurità avvolgeva ogni cosa; l'aria era stantia e sgradevolmente umida. Alla fine si ritrovarono all'interno, calpestando un fitto strato di polvere e calcinacci. Quando ormai erano completamente dentro, un'improvviso sentirono un forte botto alle loro spalle e lampo di luce li accecò per qualche istante. Poi tutto fu completamente buio e tetro. Non vedevano altro che nero attorno a loro. Gianluca fece qualche passo verso il portone e, a tastoni, cercò di riaprirlo ma, non trovò altro che solida roccia ricoperta da licheni muschiosi.<br />
“Non c'è più! Non trovo il portone!”, disse con la voce piena di paura.<br />
Allora Marcello tirò fuori la torcia elettrica dallo zaino. La accesse ma, dopo un fugace barume, si spense. Un pesante silenzio calò in quell'antica stanza di pietra. Lo sconforto li colse ma, perlomeno, erano riusciti a scorgere la forma della stanza, larga non più di 5/6 metri, e, soprattutto, avevano scorto vagamente l'ombra di un'apertura nella parete opposta a dov'erano loro. Riky in particolare aveva scorto in una parete vicino a lui quelle che sembravano torcie di legno. Fece un paio di bassi e quasi si scontrò sulla parete. Riuscì quasi subito a tastare una di quelle torce. Era un semplice pezzo di legno con un vecchio straccio in brandumi in cima, intriso con della pece. Frugò nelle tasche e prese un pacchetto di fiammiferi. Maneggiò per alcuni istanti fino a che non riuscì ad accenderne un paio che avvicinò alla torcia. Questa, nonostante tutto, si accese quasi subito e illuminò la stanza. Così osservarono con più chiarezza dov'erano. Le pareti sembravano scavate nella roccia. D'improvviso mentre osservavano le macchie luminose sulle pareti, un frastuono metallico li fece sobbalzare. Gli sguardi si volsero perplessi verso Nicola.<br />
Riccardo disse rompendo il silenzio:”Ma perchè ti sei portato dietro quell'inutile spadone?! Non è neanche affilato”. Guardò il fratello con sguardo corruciato, perchè mai gli aveva trascinati in questo strano sogno.<br />
Nicola con fare sommesso rimise a posto lo spadone, pensando che tutto questo doveva avere un senso. Riccardo si avvicinò all'unica vecchia porta che c'era nella stanza. Iniziò ad armeggiare con la maniglia che quasi subito cascò a terra fra la polvere secolare; spinse leggermente la porta aprendola senza difficoltà verso l'esterno. Subito lontani rumori indefinibili riempirono l'aria. Oltre la porta videro uno stretto e lungo corridoio spazzato da un flebile soffio d'aria dallo strano odore. Marcello disse:”E ora? Da che parte? Destra o sinistra?”.<br />
Per un po' rimasero immobili ad ascoltare. Nicola intanto tirò fuori dallo zaino alcune vecchie carte osservandole alla luce instabile della torcia; da qualche parte in quel mucchio inutile di fogli giallastri ci doveva essere qualche mappa.<br />
Alla fine Riccardo disse: ”Forse la cosa migliore è seguire la corrente dell'aria”. E volse lo sguardo verso la direzione da cui provenivano gli strani rumori. Così si incamminarono cautamente illuminando man mano antiche pareti muschiose.<br />
Dopo un po' sentirono Marcello che annusava rumorosamente l'aria. Poi si avvicinò a Nicola e gli sussurrò: ”Questo odore mi pare di ricordarlo. Non ricorda forse quell'intruglio che avevi preparato quella volta seguendo le istruzioni di quel vecchio libro che avevamo trovato?” mentre annusava però, gli odori, talvolta nauseanti, si mischiavano fra loro.<br />
Nicola gli rispose: ”Si. E hai provato ad ascoltare quell'acuto squittio che ogni tanto si sente? Non ti sembra il verso di quel piccolo viscido essere che abbiamo sognato tutti e due la notte dell'allineamento dei pianeti”. Marcello guardò innanzi a se con lo sguardo perso nel nulla. Gianluca li osservava perplesso, indovinando solo in parte i loro cupi pensieri. Si chiedeva anche lui perchè si erano imbarcati in questa strana spedizione notturna. Volgendo però lo sguardo verso Riccardo che proseguiva illuminando a malapena la strada davanti a se, fu rinfrancato dall'atteggiamento spavaldo e spensierato nel suo amico. Dopo diversi minuti di cammino durante i quali i rumori e i versi irriconoscibili si erano attenuati, il corridoio prese a salire leggermente e a divenire piuttosto irregolare. In molti punti sembrava un elemento naturale oppure qualcosa creato non dall'uomo; qua e la lungo le pareti spuntavano fuori strani minerali luminescenti che brillavano sinistramente alla luce della torcia. In un punto della parete alla loro destra particolarmente ricco di questi quarzi Riccardo scorse una piccola apertura vagamente circolare; si fermarono ad osservarla e sentirono che da questo buco fuoriusciva una leggera brezza. Nicola si attardò ad annusare e disse: ”Mi sembra che sia la stessa aria che viene dal corridoio”. Poi, rivolgendosi a Gianluca: ”Pensi di riuscire ad entrarci?”.<br />
Gianluca quadrò il piccolo buco nero e viscido ricoperto da licheni in mezzo ai quali spuntavano strani vermicelli fini e giallastri. 'che viscido buco schifoso!', pensò. Poi disse: ”Dovrei passarci. Almeno credo”.<br />
Con una buona dose di ribrezzo Gianluca si abbassò verso il buco e cercò di infilarvisi scacciando con le mani i gelidi vermiciattoli che gli si infilavano fra le dita. Quando ormai spuntavano fuori solo le gambe, sentì davanti a se che nel buio pesto, si apriva un vasto antro. In qualche modo Riccardo provò a fare entrare un po' di luce nel buco, ma non vi era quasi nessun pertugio, infatti, ben presto Gianluca non riuscì più a muoversi.<br />
“Sono bloccato, spingete.” Marcello prese per i piedi Gianluca e cercò di spigerlo in avanti. Gianluca si mosse di qualche centimetro, sputando uno strano insetto dalle zampe pelose che si stava cibando di un verme prima di finirgli in bocca. Poi sentì uno strano rumore come di strascichio provenire dal nero antro davanti a se, qualcosa di ancor più nero e grosso si stava a lui. “Tiratemi fuori!”. I tre fuori sentirono la voce letteralmente impazzita e furono presi dal panico. Marcello cercò in tutti i modi di tirare fuori Ginaluca non riuscendoci. Si guardarono attorno senza sapere cosa fare, poi quando anche loro udirono distintamente il sordo rumore di passi pesanti e inimmaginabili, Marcello con vigore cercò in tutti i modi di allargare il buco frantumando le rocce friabili attorno; con poderose spallate prese a sbattere contro la parete, poi, mentre Nicola, senza sapere perchè, tirò fuori lo scenografico spadone, una grossa parte della parete crollò e davanti a loro si parò un essere indefinibile, che stava protendendo i suoi artigli verso Gianluca. Nicola senza pensarci due volte sfoderò lo spadone verso l'essere, infilzandolo fino a che la lama non uscì dall'altra parte.<br />
Uno strano silenzio calò. “Era affilato”, disse Riccardo.<br />
Ancora tremante Gianluca si tolse di dosso pietre e polvere e si rialzò lentamente. La torcia era per terra, caduta di mano a Riccardo. Quasi si spegneva quando la riprese in mano. Nicola, con uno sguardo strano negli occhi scuri, sfilò lo spadone della creatura che nessuno fissava. Con un orrbile risucchio la lama uscì dalla carne. La ripulì accuratamente e osservò sbalordito la lama affilata. Con un movimento veloce e sicuro la ripose nel fodero.<br />
Rimasero nei pressi della piccola grotta per alcuni minuti, riposandosi e riflettendo sul da farsi<br />
FINEUnknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-87908006640150336792014-07-06T16:21:00.000+02:002014-07-08T14:38:25.763+02:00Il mondo è loroNon erano passati che cinque giorni da quando, la prima volta, avevano lasciato la casa diretti verso l'ignoto ed erano scampati a quella che sembrava la loro fine come inquilini di questo mondo, vecchio e logoro; ne erano usciti fuori più vivi che mai, come esseri che si nutrivano delle loro stesse paure. Ed ora, nuovamente avevano fame di cose strane e sconosciute.<br />
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<a name='more'></a>~<br />
Dopo la nostra avventura scoprii che avevo bisogno, come il mio amico, di continuare a cercare, ad inoltrarmi, a scovare nuove orribili mostruosità celate nell'oscurità; decidemmo nuovamente di percorrere arcani sentieri illuminati dalla rivelatrice luce della luna.<br />
Non erano passati che cinque giorni dall'ultima volta, ma erano sembrati una lunga vita: di nuovo ci stavamo inoltrando tra bassi arbusti accompagnati dalla falce della luna clanate in una notte brezzata. Poco prima avevamo costeggiato, lungo una stretta strada, il tetro cimitero che quasi ci chiamava, bramoso delle nostre spoglie mortali. Avanzammo decisi e dopo pochi minuti lasciammo la strada inoltrandoci oltre un cancello naturale costituito da due contorti alberi che si chinavano in un eterno abbraccio. Decisi di accendere la torcia ed illuminai spettralmente gli arbusti; quasi che questo fosse un segnale, prima Marcello, poi io, sentimmo uno stranissimo rumore alle nostre spalle: ci girammo imperterriti e di nuovo percepimmo quel sinistro verso, quello strano grugnito simile al ringhio sibilante di una iena; ma questo sembrava quasi modulato come se l'essere volesse dirci qualcosa.<br />
Di nuovo non avvistammo nessun movimento sospetto e di nuovo la creatura si fece sentire, più vicina, più comprensibilmente e più famelica e stavolta riuscimmo a capire il verso: “rogriin”. Scorgemmo un ombra fuggevole che non apparteneva a nessuna creatura conosciuta ne immaginabile. Sembrava avvicinarsi fuggevole per seguirci a distanza e sputarci addosso il suo alito infernale e di nuovo scomparire fra gli arbusti senza mostrare la sua figura abominevole.<br />
Ormai avevamo i nervi tesi come il condannato a morte davanti ai suoi boia ed avevamo deciso di tornare sui nostri passi quando, subito dopo un ringhio molto vicino ci ritrovammo davanti ad una bassa costruzione seminascosta da alti cespugli di ginepro che sembravano celare ogni sorta di tana. Osservammo in silenzio il piccolo torrione mentre alle nostre spalle la creatura respirava rumorosamente: era costruito con grosse pietre che contornavano una porta scura semiaperta. D'improvviso la bestia proruppe in un possente ringhio: “ROGRIIIINN!!”. Ci voltammo di scatto e vedemmo l'enorme essere il cui corpo raggrinzito si stagliava nella deformità alla luce della torcia: sembrava un gigantesco cane ricoperto da fitti peli neri; la sua schiena si incurvava a formare una gobba e le quattro zampe terminavano con lunghi artigli ricurvi, grandi il doppio di quelle della più poderosa delle tigri; la grande testa dondolava all'apice di un lungo collo ricoperto da una miriade di piccoli tentacoli che brulicavano come vrmi impazziti; sulla testa due enormi occhi gialli osservavano le nuove prede.<br />
Mi bloccai quasi attratto da quelle fauci sbavanti, mentre la bestia piegava le grosse zampe pronta al balzo mortale; poi sentii uno schianto che mi sembrò come una montagna sul mio petto. Chiusi gli occhi. Poi li riaprii e mi ritrovai inuna buia camera chiusa da una grossa porta; davanti alla porta c'era Marcello che sobbalzava ogni volta che la bestia cercava di sfondare l'uscio, i cui rinforzi in acciaio cominciarono a cedere. Mi affannai armeggiando con la torcia. Ben prsto trovai una botola arrugginita che aprii con fatica rompendo i sigilli del tempo. Illuminai l'interno e scoprii una breve rampa di scale che conduceva verso una piccola stanza in cui scorsi una porta. Urlai a Marcello di gettarsi nella botola. Subito dopo che vi si fu fiondato dentro, lo seguii, chiudendo la botola e cercando di bloccarla con un asse di legno. Sentii lo schianto della porta e corsi lungo la scala.<br />
Trovai Marcello davanti alla porta che osservava qualcosa. Guardai anch'io e scorsi alcune righe di una strana scritture incise sulla porta. Sentimmo il cigolare della botola e lo stridire degli artigli sulla pietra e ci gettammo oltre la porta chiudendola alle nostre spalle. Corremmo lungo un corridoio poi ci bloccammo davanti ad una frana. Non sembrava esserci via d'uscita quando scorsi una piccola apertura, mentre sentivamo il furioso galoppare della creatura. Marcello salì sulle grosse pietre e si insinuò nello stretto passaggio. D'un tratto si incastrò e urlò di dolore quando la sua pelle si lacerò su uno spuntone. Vedevo i tenbrosi occhi della bestia farsi sempre più vicini, poi Marcello riuscì a passare dall'altra parte. Mi gettai verso il passaggio eincurante dei graffi e mi affannai disperatamente mentre sentivo il pesante ansare della bestia. Riuscì a passare con l'aiuto di Marcello. Sentimmo le urla lancinanti della bestia: rogriiin, rogriiiinn! Vidi i suoi artigli che si facevano strada fra le rocce. La bestia era troppo grossa. Vidi le sue fauci alle luci della torcia. La torcia! Era caduta dall'altra parte. Un gelido brivido corse lungo la miaschiena. Ci allontanammo disperati sperando che la bestia si allontanasse. Girammo l'angolo ed aspettammo nel buio totale. Piano piano i ringhi cessarono, così ci avvicinammo cautamente alla frana; la luce penetrava flebile. Decisi di passare dall'altra parte. Marcello aspettava tremante. Mi arrampicai ed infilai la testa nel buco. Mi sporsi. Ormai ero a pochi centimetri dalla torcia. La bestia non si vdeva. Allungai la mano. Sfiorai la torcia. Poi sentii possenti artigli che scavavano profondi solchi nella corsa famelica della bestia. Mi sporsi ancora in un disperato tentativo. Persi l'equilibrio e la torcia scivolò lontano. Marcello mi prese per le gambe e cominciò a tirarmi mentre i ringhi della bestia salivano di tono diventando striduli urla di morte. Mi saltò addosso proprio quando Marcello riuscì a tirarmi verso di lui. Gli artigli si protessero e mi colpì ad un braccio; poi scivolai lungo il passaggio mentre le affilate unghie strisciaro sul mio braccio, aprendo profonde ferite. Il dolore fu immenso ma mi ritrovai salvo con Marcello. L'odore del sangue eccitava la bestia che gettava il suo corpo possente sulle rocce, facendo traballare la volta di pietra. Il sangue colava copioso dalla mia mano e formando ua pozzanghera. La bestia urlava. Io urlavo. Poi svenni. <br />
FINEUnknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-11218197700766394732014-07-05T15:54:00.002+02:002014-07-08T09:04:23.732+02:00La margheritaIl sole si alzava leggero nel cielo e illuminava il placido declivio di fronte alla baita. Mucchietti di neve candida si scioglievano velocemente, facendo scorrere scintillanti rivoli d'acqua. L'uscio si aprì. Il vecchio contadino dalla folta barbà uscì e trasse il suo quotidiano, lungo respiro mattutino. Sorrise alla vista di un furetto che guizzava rincorrendo un merlo che si appoggiava da un palo all'altro della staccionata.<br />
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<a name='more'></a>Il vecchio battè i piedi per terra, prese il sacco e si avviò lungo il sentiero che lo portava poco più giù, alla casa della piccola sarta cieca. In breve arrivò al suo uscio e vi bussò deciso. Una vocina flebile rispose di entrare, che la porta era aperta. Un dolce odore di profumo veniva da dentro.<br />
Tutto era dolcemente pervaso dalla seta, dai tessuti colorati tenui e rilassanti. La piccola donna stava già seduta davanti ad un tavolino ingombro di drappi e filo e tanti aghi e lavorava speditamente.<br />
Il vecchio posò il sacco ai piedi del tavolo e se ne andò, dopo aver salutato la ragazza. Per tutto il giorno la sartina lavorava e cuciva e gli abitanti della zona le portavano di tutto da rammendare e cucire. Lei usciva di rado, per poco e non si allontanava mai dal suo piccolo prato pieno di margherite. Aveva il terrore di inciampare e di cadere.<br />
Ogni tanto il figlio un po stupido del fabbro, cercava di trascinarla fuori a vedere lo stagno dove lui faceva il bagno quando il sole era bello caldo d'estate, ma le si fermava sempre prima di inoltrarsi nel bosco attorno allo stagno, e con voce flebile gli diceva che non poteva, che doveva finire di rammendare i calzoni del suo papà.<br />
L'unica compagnia che aveva tutto il giorno era un vecchio gufo appollaiato sulla credenza del camino, che sonnecchiava tutto il giorno e che lei accarezzava dolcemente.<br />
Un giorno lei sentì bussare alla porta, in modo deciso. La porta si spalancò ed entrò un'alta donna magrissima, dai capelli lunghissimi e scuri come la notte.<br />
"Ho sentito che sei brava nel cucire", disse la donna dopo aver salutato allegramente.<br />
La sartina rispose quasi sussurrando che così dicevano gli altri.<br />
La donna si avvicinò alla ragazza e, inchinandosi verso di lei, le disse:<br />
"Ho un piccolo grande lavoro per te, dolce sartina. Vedi questa margherita? Vorrei che tu me la cucissi addosso. Proprio all'altezza del cuore. Non dovrebbe essere difficile per te".<br />
"Ci proverò, signora. Ma io non posso vedere la tua margherita purtroppo. E' bella?"<br />
"Dolce sartina, è bellissima. Prova ad aprire gli occhi e la vedrai"<br />
La ragazza alzò la testa dal proprio lavoro verso il viso della donna. Aprì gli occhi e il mondo si illuminò d'improvviso di magia, luce, colori.<br />
La margherita era il fiore più bello che lei avesse mai visto. Era il primo fiore che avesse mai visto. E i colori della seta. Quanto erano forti e sgargianti! La sua piccola casa ingombra. Tutto era così bello. La donna era sparita, ma la margherita era li. Lei la prese, uscì fuori e vide il mondo, e il suo prato di margherite, una più bella dell'altra.<br />
Non serviva altro. Aprire gli occhi.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-31351966201303858492014-07-05T15:53:00.000+02:002014-07-08T14:56:43.664+02:00Ero Roger Tadic<div align="LEFT" lang="it-IT" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.1cm; page-break-before: auto; text-indent: 0.5cm;">
Ero Roger Tadic originario delle insanguinate lande della Serbia. Quel giorno, d'accordo con due miei compagni, decidemmo di organizzare questa spedizione estiva, l'ennesima di tante scalate che ci avevano portato sulle cime di questi ameni luoghi. Una mattina molto presto caricammo tutto il materiale preparato con accuratezza e partimmo. Nel pomeriggio ci inoltrammo per un'erta stradicciola sterrata che ben presto divenne poco più che sentiero. Giungemmo presso una piccola baita al limitare di un ruscello; qui lasciammo l'auto e ci sistemammo per la notte.<br />
Già potevano osservare la cima che sarebbe stata la nostra meta. Quella sera stendemmo sul tavolo traballante della casupola le mappe in nostro possesso e tracciammo un percorso fra questi impervi luoghi.<br />
La mattina successiva, di buon ora , un'abbondante nevicata salutò il nostro risveglio; il cielo era azzurro e pulito tanto che ringraziammo la nostra buona stella. Nel giro di un'ora eravamo già in cammino; all'inizio costeggiammo la parete più impervia lungo un dolce declivio, in modo da renderci conto delle difficoltà che, a dire il vero, ci parevano ben poca cosa. Trovammo uno stretto passaggio che dava accesso ad un vallone che ci avrebbe permesso di tagliare almeno tre,quattro miglia.<br />
Ci inoltrammo per il passaggio mentre una leggera brezza prese a soffiare. Il vallone ben presto si strinse fino a diventare una sorta di corridoio naturale spazzato da gelide folate di vento; cominciamo a salire percorrendo una sorta di scalinata naturale che ci condusse infine in un pianoro roccioso al termine del vallone; uno strano spettacolo ci si parò davanti.<br />
Il pianoro era delimitato su due lati da pareti a strapiombo e da un lato si poteva dominare la vallata fino ad una distanza considerevole. Ma la cosa più strana era che su di esso sorgevano delle abitazioni simili a baite, ma con una strana architettura che non riuscivo a ricondurre a nessuna cultura.<br />
Tutte le case, seppure spartane, avevano mobili di fine fattura, come potemmo constatare visitandole, e numerosi strani oggetti dall'uso sconosciuto. In alcune camere c'erano grandi specchi contornati da strani bassorilievi, che recavano una rappresentazione di creature serpentiformi aggrovigliate le une alle altre in un intreccio raccapricciante.<br />
Osservammo quegli specchi inorriditi ed allo stesso tempo attratti. Un tenue scintillio azzurrognolo sembrava baluginarvi costruendo geometrie inconcepibili sulla superficie riflettente.<br />
Dopo una mezz'ora, comunque, decidemmo di riprendere il cammino. Per nostra sfortuna non avevamo scorto un fronte di tempesta che si avvicinava minaccioso. Ci affrettammo così a trovare un passaggio che ci conducesse il più in fretta possibile alla vetta, senza neanche presagire quale orrore ci avrebbe colto. Ora spero che sia stato solo un incubo, ma so, pur nella follia, che è tutto vero.<br />
Lasciammo il villaggio risalendo la parete dove questa rientrava leggermente. Per un attimo, quando ormai ci stavamo allontanando dalle case, mi parve di scorgere un'ombra che sembrava uscire dalla roccia.<br />
Salimmo, rapidi, osservando l'avvicinarsi delle nuvole scure che coprivano la valle. Il vento sferzava incessante mentre i nostri scarponi spezzavano il ghiaccio cercando un appoggio sicuro. Ogni passo era più difficile, ogni movimento un'immane fatica. Lugubri lamenti sembravano venire da ogni angolo attorno a noi. Infine giungemmo presso uno sperone dove potemmo riposarci per un'attimo accecati dai fiocchi di neve simili a pungenti dardi.<br />
Eravamo disperati ed ormai concludemmo che non avevamo più speranza di arrivare in cima, così decidemmo di ritirarci il più in fretta possibile verso il villaggio dove potemmo ripararci... D'improvviso, però, una strana sensazione di terrore ci colse, come se una porta dell'inferno si fosse aperta da qualche parte. Sentivamo qualcosa che saliva. Non osavamo quasi respirare, ma , guardandoci atterriti, sapevamo che stava arrivando verso di noi. E così si schiantò su di noi. Fui come trafitto e precipitai sentendo gli strazianti lamenti dei miei compagni misti all'ululati lancinante della cosa. Miracolosamente caddi in un grosso ammasso di neve. Cercai dolorosamente di sollevarmi e scorsi vicino a me una delle strane case; mi guardai attorno, aspettandomi di scorgere qualcosa che mi avrebbe fatto impazzire da terrore ma non vidi nulla. Sentii solo l'ultimo straziante richiamo di Sasha che terminava in un gorgoglio. Nonostante l'orrore e le lacrime che mi accecavano, cercai una via di fuga e scorsi non lontano uno stretto pertugio nella roccia dove mi gettai il più in fretta possibile, trascinando il mio corpo dolorante. Credetti di penetrare in una grotta umida, invece mi ritrovai a calpestare la polvere millenaria di uno stretto corridoi scavato da qualcuno o da qualcosa! Respirai l'aria, quasi palpabile. Non potevo riuscire: fuori c'era la cosa! Il buio rassicurante annullava la mia volontà. Ero immobile. L'oscurità mi avrebbe celato per sempre. Poi sentii un lancinante dolore al braccio; mi toccai e tastai una strana sostanza vischiosa che si mischiava al sangue di una profonda ferita. Era uno strano liquido spumoso che colava fino a gocciolare dalla mano. La mente prese a turbinare impazzita e mi ritrovai a percorrere il corridoio. Ogni passo era più buio. Camminavo ma non sapevo perché ed alla fine, nonostante il buio era scurissimo, capii di trovarmi in un ampia sala. Sapevo di essere stato l'unico uomo ad entrare in quella sala negli ultimi secoli.sapevo che intorno a me si inalavano alte colonne i cui bassorilievi erano a dir poco grotteschi. Lo sapevo, mo non lo vedevo con i miei occhi. Migliaia di viscide nicchie pregne di umidità si aprivano nelle pareti. La mia mente vagava in un'ebrezza indescrivibile. Le tempie pulsavano in un furioso orgasmo dei sensi che parevano contorcersi, rivoltarsi in uno spasmo disumano. Sentivo, lentamente ed inesorabile, la mia natura torcersi nell'orrore. Infine cessò. Un lungo istante. Cosa sono ora? Non ho destino. Posso solo prendere posto sul trono al centro di questa immensa sala ad attendere. <br />
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Attendere la fine del mondo<br />
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Fine...?<span style="font-family: Book Antiqua, serif;">(Febbraio 2001)</span></div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-87760514386326359852014-07-05T15:52:00.000+02:002014-07-06T16:39:56.716+02:00L'abisso dell'odioMentre dal suo buio nascondiglio volgeva lo sguardo assorto verso gli ultimi spettrali bagliori delle torce, cominciò a scavare il sepolcro per la sua lucida lama tra il marcio sottobosco; la spada che ormai non riusciva più a nascondere alle oscure potenze; raschiava l'umida terra con tutte le sue residue forze, decimate dalla tetra volontà della spada che ottenebrava quella del poderoso guerriero. Prese la spada e, con un ultimo sforzo, iniziò a ricoprirla con tutto ciò che gli capitava per mano, persino i viscidi Khtoth che bruciavano la sua dura pelle; poi si alzò con impeto senza più preoccuparsi dei suoi inseguitori, la cui attenzione era attirata dalla tenebrosa aurea della lama demoniaca, e iniziò a correre a precipizio, incurante dei giovani virgulti che gli sfregiavano la fronte e degli intricati rovi che tagliavano le sue gambe. Sfrecciò nella gelida notte, fra i tronchi spettrali, incurante della fatica e del dolore, mentre le fini ali degli esseri della foresta sbattevano sulla sua faccia e mille occhi scrutavano la sua corsa per la vita dalle loro tane nascoste.<br />Si fermò. Annaspò appoggiato ad un muschioso tronco, inspirando dolorosamente la fredda aria della foresta; respirava rumorosamente, i polmoni squassati dalla malattia, quando notò un bagliore guizzante subito davanti a se. E vide la lunga lama indomita che spuntava dall'elsa intarsiata da antiche mani: la spada, ancora ricoperta di terriccio, che sembrava sbeffeggiarsi del guerriero.<br />Dense lacrime scivolarono sul suo viso martoriato, bruciandogli le profonde ferite coperte di fango, mentre imprecava verso l'oscurità avvolgente; sentì cupi rumori in lontananza e scorse nuovamente il tremolante bagliore delle torce avvicinarsi, guidato da un sicuro bersaglio. Ricominciò la sua corsa sempre più disperata, brandendo la spada con rabbia, cercando di frantumarla sui tronchi.<br />Le forze iniziarono ad abbandonare il suo corpo e la sua mente, quando d'improvviso si ritrovò in una radura, abbagliato dalle fiamme crepitanti di un immenso falò; e vide le case distrutte dalla furia dei Ghodd e dei loro tenebrosi servitori; vide con terrore crescente decine di corpi riversi negli usci, e ancora di più ardevano terribilmente fra le fiamme innalzando folte volute di fume denso e nauseante. Il suo villaggio. Tanto aveva dunque vagato, fuggendo dai suoi aguzzini, per giungere qui.<br />Si voltò verso la foresta e scorse le abnormi figure dei suoi inseguitori e sentì i versi gorgoglianti delle loro fauci; la sua disperazione vinse per un istante la volontà della spada ed egli si gettò sulla lama chiedendo perdono al suo Dio. E successe ciò che aveva sempre sperato dal primo istante in cui impugnò la spada; mentre la lama apriva uno squarcio diretto al cuore, un'altro squarcio si apriva nell'aura della spada, e finalmente riuscì a dominare il malefico potere.<br />Mentre il sole proiettava i suoi primi raggi mattutini, lambendo le rovine; mentre le ultime fiamme si estinguevano nella radura; mentre le piccole creature della foresta osservavano nascoste; mentre l'anima del guerriero fuggiva finalmente il corpo, libera del fardello mortale e della volontà della spada, egli giurò rivolto alle sacre stelle che sarebbe tornato per consumare la sua vendetta.<br />Un urlo risuonò fra le valli senza fine.<br />Gli scalini erano viscidi sotto i suoi piedi. Da quanto tempo saliva? Non capiva lo scorrere del tempo. Percepiva solo l'oscurità intorno a lui e intravvedeva vagamente la figura serpeggiante della scala che saliva fino a perdersi nel buio. Poi, innanzi a lui, comparve un trono incredibile scolpito nella scura roccia, alto più della volta nera, più imponente di qualsiasi torre. Vide qualcuno e sentì poi la sua voce possente e triste allo stesso tempo:<br />“Grande fu il tuo fardello in vita e grande sarà il tuo fardello negli infiniti giorni della morte. Non potrai infine giungere presso le grandi aule fra le sacre stelle, fino a che il tuo giuramento non sarà compiuto”.<br />E il trono sparì; la scala infinita scomparve nel buio.<br />Iniziò a cadere. In basso? In alto?<br />Scorgeva un pavimento farsi sempre più vicino. Schianto. Freddo.<br />Sentiva dolore una fitta quasi insopportabile nel petto. Una fitta che giungeva fino al cuore. E sentiva freddo, come se un gelido frammento dei ghiaccu di Lhodor fosse al posto del suo cuore. Si alzò dal suo sepolcro. Uscì dalla sua tana allontanandosi dal suo rassicurante giaciglio. Ma tornò indietro. Aveva dimenticato la spada, che ancora giaceva accanto alle sue spoglie mortali.<br />Si incamminò faticosamente mentre il dolore faceva urlare la sua anima e il contatto con ogni cosa viva aumentava il gelo. Salì le scale coperte di polvere e vide il tramonto: i raggi del sole che lambivano l'antica cripta. E così ricordò la vita, il calore, il profumo della foresta al crepuscolo. Ricordi.<br />Attese la notte.<br />La notte che accoglieva magnanima le spettrali figure delle anime maledette dal loro odio, dalle loro colpe.<br />Si incamminò verso il suo destino, diretto verso le oscure terre del Possessore, mentre le creature della foresta fuggivano la sua presenza.<br />Fine<br />(1994)<div lang="it-IT" style="margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.1cm; page-break-before: auto; text-indent: 0.5cm;">
</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-20239960652668476422014-06-16T12:16:00.000+02:002015-12-11T23:34:03.021+01:00Profeta"Nessuno ha la chiave della saggezza, conosce la 'giusta via': ne Gesù, ne Budda, ne Maometto, ne chissà chi; loro, seppure grandi luci, sono abili occultatori dell'insicurezza del genere umano.<br />
Non c'è Verità; perché costringiamo la nostra fantasia?<br />
Non c'è neanche il tempo, ma solo la leggerezza morbida dell'attorno che penetra fino a dentro."<br />
Ma questa è solo un'abile frase, costruita forse con il preciso obiettivo d'essere visto come il più saggio, il più luminoso detentore della Verità. Quante volte proferiva queste abili frasi magiche? Di continuo, tanto che qualcuno già non lo ascoltava più, oltre quelli che neanche lo sentivano.<br />
Ma lui pensava dopotutto di essere il profeta, l'illuminato portatore di una fresca ventata di dogmatica realtà assoluta. E questo, lo mascherava così: con queste parole che dicevano il contrario, ma mentivano per convincere sempre più del contrario del contrario.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-60955471799624676052012-04-16T14:54:00.000+02:002015-12-11T23:34:03.032+01:00Un anno ancoraE giustamente, torno a controllare il mio blog esattamente un'anno dopo le ultime cose scritte.<br />
Come si suol dire, tanta acqua è passata sotto i ponti e questo luogo di parole digitali langue ancora. Mi chiedo se diventerà frequentato con una certa costanza. Perlomeno maggiore di un post ogni anno!!!<br />
E dire che mi auto-lamentavo di tardare 2/3 mesi nello scrivere!<br />
Che dire, sarebbe interessante mantenere questo "diario di vita creativa", purché non divenga un ricettacolo di tristi rimembranze!Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-22552418338657158872011-04-15T23:09:00.000+02:002011-04-15T23:09:52.401+02:00EventiPer un gran tratto non fu difficile seguire la pattuglia di orchi che trascinava con se il povero nano scalciante. In verità proprio il nano dava loro una mano d'aiuto con le sue urla che si diffondevano per le valli, e a ben poco servivano i calci e i pugni dei suoi aguzzini, se non a farlo urlare ancora di più.<br />
Non li vedevano quasi mai, se non per brevissimi tratti nei quali potevano osservare le valli sotto di loro quando sostavano per riposarsi in alto, lungo i declivi che percorrevano cercando di costeggiare il sentiero principale e gli orchetti sbucavano nelle poche radure che trovavano lungo il loro cammino. Il paesaggio pian piano diveniva più impervio, anche se ancora principalmente percorso da grandi pianori erbosi. Lontane, le Montagne Nebbiose, si stagliavano all'orizzonte, perennemente innevate e coperte di foschia. Nessuno di loro si era mai avventurato vicino a quei monti; neanche Lahen le volte che cavalcava verso la tenuta di un suo cugino, lontana da Maethelburg ma abbastanza lontana anche dai monti. A parte vecchi vagabondi, solo creature del male come orchetti e troll vivevano ai piedi e nelle viscere di quei monti.<br />
Non molto prima di albeggiare, la luna calò oltre l'orizzonte e il cielo si fece più coperto, così divenne sempre più difficile seguire gli orchetti; i quattro inseguitori camminarono alla fine fino all'alba, cercando di seguire gli orchetti con i rumori e le urla del nano, ma, poco prima dell'alba, qualsiasi traccia di loro sembrò scomparire nel nulla.<br />
Camminarono ancora un po, seguendo le ultime tracce sicure, ma si fermarono ed attesero l'alba, con la speranza di trovare qualcosa di utile con la luce del sole. Dopo l'alba, cercarono con attenzione qualche orma, ed alla fine furono ricompensati. Lahen capì che gli orchetti si erano inoltrati proprio dentro una vecchia fattoria apparentemente abbandonata. L'ingresso della fattoria si apriva presso un cancello divelto e rovesciato a terra, lungo un alto muro di pietra...Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-78992055433481864312011-04-15T19:50:00.000+02:002015-12-11T23:34:03.040+01:00AggiornamentiUn post ogni 2/3 mesi! Questo blog è veramente molto aggiornato!<br />
La fantasia non dovrebbe mai conoscere pause, persino quella digitale, che scorre lungo bit freddi e lontani.<br />
Ci sono pensieri che si accasano, facendola da padroni, spingendo via tanti altri pensieri migliori, più belli, che caricano l'essere umano. Ma talvolta questi piccoli, insulsi pensieri che si nutrono della forza d'animo, della passione, prendono tutto lo spazio e non lasciano scampo alla fantasia.<br />
Ecco, allora è facile dire che per un po ci si può lasciar trascinare dal fiume, senza tanto remare ne, ancora più importante, avvicinarsi agli altri rivi, girare, imboccare altre anse misteriose, lasciando la placida corrente del grande fiume tranquillo che porta alla fine all'immenso mare spoglio e vuoto.<br />
E caspita! E' così facile alzare lo sguardo in alto, innalzarsi in piedi sulla barca, guardarsi attorno, strappare quel remo dalle mani dei pessimi pensieri, spingerlo in acque vogliose di sciabordio e muovere la barca verso quel piccolo fiume che lascia la grande strada spenta e conduce chissà...verso bui antri terribili ed emozionanti, o verso grandi prati pieni di creature magiche.<br />
E chi parla? Quella specie di mucchietto di vecchie ossa con la testa infilata dentro la barca, con tutti quei fili di pessimi pensieri che si attorcigliano su di lui... Proprio lui parla!! Ecco, così... E' facile usare quel remo vero? Guarda laggiù! Sulla sponda sinistra! Dove andiamo? Ci sono già 3/4 fiumiciattoli molto allettandi!<br />
Andiamo! Così...il secondo va benissimo... Una bella foresta di vetusti alberi. Sembrano quasi vivi, con quelle braccia contorte e ondeggianti!Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-77320362927653210522011-02-13T21:02:00.000+01:002015-12-11T23:34:03.037+01:00Ombre sul paeseLe persone si muovono nel paese, dormendo, mangiando, lavorando, litigando, amando e lamentandosi delle cose negative. Ogni martedì il mercatino raccoglie una folla di vocianti signore che cercano l'affare migliore. Il sabato sera, svogliati gruppi di ragazzi si aggirano per i bar e i locali, cercando divertimento e piacere. Lavori sulle strade, e gente scontenta della propria condizione, tengono l'attenzione dei politici comunali. Ma, un'aria di vita comune e fin troppo placida, nasconde forse delle verità. E non solo le tante verità nascoste, i tradimenti, gli odi, e i sotterfugi delle persone. Ci sono altre verità, meno comprensibili, più sinuose e subdole, strane e antiche. Cose che c'erano anche prima che la vita placida e noiosa di Sant'Antioco iniziasse...Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-37587273184476425152010-06-22T10:43:00.001+02:002014-07-08T14:40:19.567+02:00Un tarlo inaspettato! Parte 1Nolcai camminava soprapensiero sul selciato della Via Frondosa proprio nei pressi della Locanda di Pier quando sentì una voce che lo chiamava ed alzò lo sguardo', "Egregio Mago di Iklos!", disse l'uomo, "Vi attendevo ieri sera nella mia bottega!", concluse.<br />
Nolcai lo guardò all'inizio perplesso poi ebbe come un ricordo improvviso: "Mastro Oret! Devi scusarmi ma ho la testa in mille cose. Se non ti dispiace possiamo recarci anche ora al Palazzo Verde a vedere se si può sistemare quella vecchia libreria tarlata!", e così l'artigiano ed il mago si avviarono oltre la Via Frondosa verso il palazzo, salutando i passanti e i bottegai della chiassosa strada.<br />
"Io non penso ci siano grossi problemi messer Nolcai", diceva Oret, "Sistemerò quella libreria con buon legno duro e così la vostra bella Sala della Storia tornerà come prima!.<br />
Nolcai rispose: "Non ho dubbi Oret! Purché mi chiami solo Nolcai! Sono sicuro che farai un ottimo lavoro, ma non baderò a spese. Ci sono dei bellissimi intagli che vorrei tu mi riproducessi, con alcune modifiche. Ho già fatto fare alcuni disegni a Lercomal. Non importa neanche se ci metterai tanto tempo! Ho già ammucchiato gran parte dei libri della Storia sopra un tavolone e ne approfitterò per rispolverare letteralmente, alcuni volumi che la mia mente inizia quasi a dimneticare!"<br />
"Bene Nolcai. Come ti dissi già a suo tempo, ho un po di lavori da sbrigare, ma ritaglierò un po di tempo ogni giorno per la tua libreria. Conto e spero di terminare prima della festa di mezzo autunno, anche perchè con la mia compagna pensiamo di andare a Sud per qualche giorno, a trovare i suoi vecchi ed a rifornire la mia bottega di legno di Ginepro delle Fonti!"<br />
E così, parlottando di qualità di legname e di difficoltà nell'incisione, i due arrivarono fino al Palazzo del mago.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4404857079696891768.post-80452154955460133352010-04-16T10:13:00.001+02:002015-12-11T23:34:03.043+01:00Il tempo che vaLa nel bosco, nel tepore e nel profumo della primavera sei nata; piccola e piangente salutavi il mondo con il cuore grande e pronto ad accogliere mille emozioni. Hai imparato a contare il tempo e le primavere dolci, anche amare, ma sempre il tuo cuore sarà tanto grande da catturare mille emozioniUnknownnoreply@blogger.com1